

PREMESSA
Sono partita da un’analisi dell’oggetto, come traccia del sé in rapporto a spazi fisici o mentali, ho attraversato l’idea di un accumulo stanziale ingabbiando cose e concetti, in una sorta di fermo immagine capace di contrapporsi al continuo fluire di immagini che ci circonda. Oggetti e spazi apparentemente banali hanno preso forma e si sono caricati di significato trascendendo il senso comune delle cose. Successivamente ho avvertito l’esigenza di sottrarre riferimenti oggettuali troppo evidenti e riconducibili ad operazioni ormai storicizzate. Una volontà quasi iconoclasta mi ha fatto rintracciare in un alfabeto visivo minimo il mio luogo di riflessione e creazione.
Le strutture più complesse, gli assemblaggi di oggetti in afasici teatrini del quotidiano hanno lasciato il posto a figure archetipiche, a segni-icone quasi elementari. Alchimie di immagini a tratti infantili, dove lo stereotipo si riappropria di significato mescolandosi alla ricerca di un segno nuovo, mi hanno condotta in un “territorio di frontiera” dove gli appigli per un consumo immediato vengono a mancare e l’immagine si sottrae a quel cannibalismo visivo che caratterizza la società contemporanea.
Sotto il profilo tecnico, materiali riciclati, legname industriale e gesso hanno costituito da sempre gli ingredienti della mia cucina artistica.
Trattamenti delle superfici condotti con precisione quasi maniacale mi hanno permesso di allontanarmi dal materiale iniziale per trasformarlo in altro.
Gioco costantemente con una tridimensionalità sull’orlo della crisi, alle mie opere manca poco per ricadere sul piano come pura superficie, è nella messa in scena che si impadroniscono dello spazio e prendono corpo.

