La volevo mia

Mi sono costruita finalmente la mia bambola ed ho capito attraverso la matrioska, l’unica bambolanonbambola, che anche la più piccola e dai lineamenti confusi aveva diritto di viaggiare da sola …in fondo era l’unica intera. Però non aveva odori, fori, carne… solo colori, belli sgargianti, decori astratti per sarcofagi femminili. La purezza della forma e l’assenza di movimento…e tu bambina impari a stare ferma come una bambola, anche da grande funziona. Tutti belli se fermi in quella determinata posizione. Le signore accavallano le gambe in un certo modo mentre le bambole si spezzano in spaccate prodigiose nelle mani di tutte le bambine, ma subito dopo tornano perfette.

La volevo mia.

Autoritratto impudico, bella, ridicola, orrenda, scura e chiara, sorridente se sorrido, piangente se piango …. Che parte dalla ciccia per arrivare al legno riscattando quel bambino burattino che ho tanto amato e che mi ha fatto tanto soffrire quando nell’ultima pagina del libro si ritrova fanciullo e si ferma.

Parto dalla fotocopia delle mie mani e vorrei partire dalla fotocopia delle tue, mani vecchie per bambole al limite dell’osceno, dell’erotico, del tenero, dolce, melanconico, mani giovani e affusolate per creature ciniche o indifese… insomma puoi dire quello che vuoi se lasci che il tuo corpo parli… sono ripartita dalla carne come materiale, fonte di ispirazione per ridare forza al pensiero, troppe parole dette all’infinito stanno minando il senso delle cose. Tutti i giorni abitiamo il nostro corpo, detta le regole del nostro agire. Devo partire dalla semplicità di un gesto per costruire la mia bambola. Sarà il mio doppio, ma non avrò paura di mostrartela come tu non devi avere paura dell’ira che il tuo pugno trattiene…la tua mano contiene tutte le mie e le tue bambole, nessuno le vede ma le portiamo sempre dentro.

Maria Luisa Imperiali

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